Onorevoli Colleghi! - Con la presente proposta di legge si intende reintrodurre i collegi uninominali, per garantire quel forte legame tra eletti ed elettori che la riforma elettorale approvata dal centrodestra nella scorsa legislatura (legge n. 270 del 2005) ha profondamente intaccato, sostituendo i collegi con lunghe liste bloccate.
      Il modello di riferimento è quello francese, che ha garantito una progressiva e armonica bipolarizzazione del sistema partitico, grazie all'introduzione del doppio turno di collegio. Una tendenza pienamente confermata anche dalle elezioni per l'Assemblea nazionale appena tenutesi.
      La presente proposta di legge prevede che tutti i seggi in palio per la Camera dei deputati e per il Senato della Repubblica, esclusi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero, siano messi in palio in collegi uninominali, in cui vince il candidato che riesce ad ottenere la maggioranza assoluta (sistema majority).
      Questo comporta che, se nessuno raggiunge tale soglia al primo turno, si dà luogo a un secondo turno di ballottaggio

 

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tra i due candidati che al primo turno abbiano ottenuto il maggior numero di consensi.
      L'introduzione del doppio turno di collegio consente di raggiungere due obiettivi che si ritengono fondamentali: esprimere l'autonomia delle singole forze politiche al primo turno e garantire la loro aggregazione al secondo, qualora nessuna di esse sia riuscita ad imporre un proprio candidato. Di conseguenza, è assicurata la coerenza politica delle coalizioni, conferendo altresì agli elettori la possibilità di esprimere un voto «utile», secondo una chiara e robusta logica maggioritaria, che di per sé costituisce un requisito imprescindibile per garantire stabilità ai Governi, tramite il contenimento della frammentazione dell'offerta politica.
      Quest'ultima esigenza assume infatti un rilievo determinante nel nostro ordinamento. Oggi in Parlamento sono presenti più di venti gruppi parlamentari, all'interno dei quali trovano rappresentanza - a diverso titolo - oltre trenta forze politiche: un preoccupante incremento verificatosi in pochissimo tempo, a causa della mancanza di disincentivi al frazionismo e come sintomo di un crescente distacco fra la chiara richiesta di coesione proveniente dall'elettorato e il comportamento della classe politica. Si tratta di una situazione patologica, senza eguali in Europa, che rende sempre più difficoltoso assumere decisioni nei modi e nei tempi adeguati, minando la credibilità delle istituzioni democratiche e dei partiti, e moltiplicando allo stesso tempo i costi impropri della politica. Tutto questo senza dubbio allontana i cittadini dalla partecipazione, alimentando l'antipolitica, il qualunquismo e quelle tendenze populistiche - in diffusione crescente - che contribuiscono ad indebolire ulteriormente istituzioni pubbliche già fragili come quelle italiane.
      A maggior ragione diminuire la frammentazione diviene ancor più necessario in un contesto caratterizzato da riassetti che mettono in discussione il ruolo degli Stati nazionali e da sistemi d'informazione che mutano radicalmente le classiche modalità di confronto con la cittadinanza: la qualità della democrazia assume un rilievo primario in ragione della sempre più pressante necessità di una politica forte e rinnovata che sia capace di rispondere in maniera tempestiva ed efficace ai cambiamenti, e possa contribuire a ridare un senso comune al futuro.
      Il sistema elettorale che si intende introdurre cerca proprio di rispondere a queste esigenze, poiché garantisce proprio quella aggregazione fra le forze politiche che è ormai una condizione necessaria affinché il nostro sistema politico-istituzionale sia in grado di riacquistare efficienza e capacità decisionale.
      Il doppio turno di ballottaggio inoltre garantisce il rafforzamento del sistema bipolare senza spingere artificiosamente verso un bipartitismo coatto, poiché incentiva fisiologicamente la ricomposizione delle forze politiche.
      Se infatti si vuole abolire il premio di maggioranza poiché si ritiene che esso produca un bipolarismo ingessato che imbriglia in maniera innaturale le dinamiche della competizione politica, la soluzione più naturale è il collegio uninominale e il doppio turno. Al contrario, sistemi elettorali meno selettivi che fotografano la frammentazione, senza premi alla coalizione o alla forza politica maggiore, riportano inevitabilmente le decisioni sulle sorti degli esecutivi nelle mani di variabili maggioranze parlamentari, al di là di quell'indirizzo espresso in sede elettorale che dovrebbe costituire la base di legittimazione del Governo per tutto l'arco della legislatura.
      Un bipolarismo stabile e maturo costituisce invece il punto di arrivo imprescindibile di qualsiasi riforma elettorale che possa dirsi coerente con l'evoluzione che il nostro assetto istituzionale ha sperimentato nel corso dell'ultimo ventennio, poiché rafforza alcune delle caratteristiche di cui un sistema istituzionale virtuoso non può fare a meno: derivazione elettorale degli esecutivi, alternanza, trasparenza e ricambio della classe politica.
      Oltre alle considerazioni di carattere sistemico, la reintroduzione del collegio uninominale senza dubbio assolve inoltre
 

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quel compito fondamentale per la nostra democrazia richiamato in premessa: riavvicinare gli eletti agli elettori. L'abbandono delle liste bloccate e lunghe previste dalla legge n. 270 del 2005 permetterebbe inoltre anche l'impiego virtuoso dell'istituto delle elezioni primarie, al fine di coinvolgere l'elettorato anche nella scelta dei candidati in ciascun collegio.
      Le critica che ormai accompagna da lungo tempo le ipotesi di introduzione del doppio turno nel nostro ordinamento, secondo cui comporterebbe un vantaggio per la coalizione di centrosinistra rispetto a quella di centrodestra - presumendo che il suo elettorato sia meno mobilitato - non pare in realtà fondata: il caso francese dimostra chiaramente che nel medio e lungo periodo in seguito all'alternanza al potere dei due schieramenti, la propensione all'astensionismo dell'elettorato è più accentuata in quello della coalizione che ha appena governato e viceversa, a prescindere dalla loro colorazione politica.
      In altre parole, nessuna delle due coalizioni maggiori attualmente presenti in Italia ne sarebbe danneggiata costantemente, garantendo quindi a esse pari opportunità di partenza.
      Anche per ciò che concerne la critica secondo cui il collegio uninominale avvantaggerebbe una coalizione piuttosto che l'altra in ragione di una maggiore o minore capacità di coagularsi attorno ad un unico candidato, è in larga parte infondata: la capacità di far convergere su un unico candidato i voti degli elettori dei vari partiti dipende infatti dal grado di vicinanza ideologica e programmatica fra le forze politiche che compongono la coalizione, ma si tratta di un dato di per sé variabile nel corso del tempo.
      Anche l'obiezione secondo cui i sistemi che si basano su collegi uninominali sono fisiologicamente penalizzanti per il sesso sottorappresentato non risulta fondata: è infatti compito fondamentale dei partiti prevedere delle disposizioni per la selezione delle candidature che permettano quel riequilibrio di genere sempre più necessario per ampliare la democraticità complessiva del nostro sistema istituzionale.
      Infine, l'obiezione secondo cui il sistema elettorale maggioritario a doppio turno trova un incastro perfetto solo se abbinato all'elezione diretta del Capo dello Stato è anch'essa priva di fondamento: grazie ai sistemi elettorali a dominante maggioritaria introdotti nel 1993 (leggi n. 276 e n. 277) in seguito all'esito positivo del referendum abrogativo del 18 aprile 1993, il nostro sistema si è andato strutturando in maniera sempre più marcata lungo uno schema bipolare che, se debitamente supportato e confermato da un sistema maggioritario, può raggiungere anche solo per tale via, integrata con alcuni accorgimenti costituzionali che assicurino la continuità dell'indirizzo dato dall'elettorato nella legislatura, ciò che i francesi ottengono anche con l'effetto combinato dell'elezione popolare diretta del Presidente della Repubblica.
      L'elezione diretta del Capo dello Stato, quindi - pur senza alcuna demonizzazione di questo istituto e riconoscendo l'efficacia quasi sempre sperimentata per il funzionamento delle istituzioni della Repubblica francese - risulta non necessaria a garantire la logica sistemica che si persegue nel nostro ordinamento dove le istituzioni unitarie dello Stato hanno una storia più recente e dove pertanto la figura di un Presidente della Repubblica garante risulta essere più proficua per assicurare prestazioni di unità al sistema.
      Una serie di mirate riforme costituzionali alla forma di governo potrà consentire, quindi, di rafforzare l'esecutivo e il suo Premier, attraverso l'inserimento di dosi di flessibilità compatibili con il primato delle decisioni del corpo elettorale e di opportuni contrappesi e garanzie, anche in presenza di tale organo riequilibratore.
 

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